Note critiche
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Note critiche

Vitaliano Angelini in occasione della personale alla Galleria F.Barocci sita nel Collegio Raffaello di Urbino.

Olivia Pegoraro, credo di poter affermare, appartiene a quella categoria di artisti tutti compresi nell’impegno e nello sviluppo della propria ricerca e del proprio lavoro, partecipe fino in fondo, senza riserve,  sia delle esperienze estetiche sia di quelle della vita, così come delle emozioni e contraddizioni che da quelle scaturiscono .

Ciò che più colpisce  nel fare di questo incisore è proprio l’ assunto di un impegno: sviluppare ogni idea sino alla sua logica e naturale conclusione, esaurirla prima di rivolgersi ad un’altra. Analisi, questa, d’altro canto, che persegue, con una logica stringente e puntigliosa. Tale bisogno, tra l’altro, stimola anche il temperamento dell’artista alla insofferenza verso gli schemi formali a cui è pervenuta. Questa giovane autrice, infatti,  ha idee chiare . Quando comincia un  discorso, come ho già evidenziato, lo porta avanti con  una dialettica serrata,  per cui la sua grafica diventa una vera e propria ginnastica della mente con implicazioni sottili, particolarmente elaborate, comunque sempre stimolanti anche quando i significati si infittiscono e si complicano in un intrigato groviglio di segni. Nell’ultimo periodo della sua ricerca, però, il segno si è schiarito lasciando via via  maggior respiro alla sperimentazione e alla creatività, le quali finiscono per prendere il sopravvento.

La sua diviene, allora, una ricerca sicuramente rafforzata dall’immaginazione e dalla fantasia che stabilisce un preciso equilibrio con le ragioni formali rispondendo all’urgenza espressiva dell’artista stessa.

Una riflessione dunque che parte dal segno per approdare, solo in ultima istanza all’immagine, questa poi nel corso nel suo svilupparsi si libera da ogni aspetto narrativo e descrittivo pervenendo ad un’area creativa di estrazione astratta. L’artista vicentina inoltre , e, non può certo sfuggire a chi sa vedere, non è mai preda del procedimento tecnico, ma sempre lo controlla immettendovi  una sensibilità scoperta e totalmente sincera, e nella ricerca della strada per esprimere il non-detto delle emozioni, tutto è riportato ad una dimensione profonda , ad una struttura portante che attraverso l’arte ritrova la sua interiore armonia.

L’opera di Olivia Pegoraro, pertanto, può essere letta da diverse e sempre valide angolazioni; sua caratteristica fondamentale è il presentarsi non come qualcosa di assoluto, un postulato intoccabile, bensì come la possibilità per aprire sempre nuove occasioni individuali; essa non fa imposizioni ma proposte e alcune forme di questa ricerca, alcune figure o forme, sembrano raggiungere, una persistenza che va oltre le tensioni del linguaggio rivelandosi come costanti di una autentica poetica

Urbino, 14 maggio 2014

Rodolfo Ceccotti  in occasione della personale alla Galleria d’Arte Moderna di Thiene nel 2015

[…] In passato ho avuto l’opportunità di scrivere qualche nota di commento al suo lavoro, ora, guardando il risultato delle sue ultime fatiche, ne rimango ugualmente sorpreso per altri versi.

A parer mio sono da collocare in un momento diverso di ricerca pur conservando una loro onestà intellettuale non dimentica delle esperienze trascorse. Nei lavori più “antichi”, le forme si frantumavano, quasi svanivano nella miriade dei segni, nelle recenti è la figura che domina lo spazio, anzi i volti. Volti di forte espressività, colti in una istantanea smorfia di dolore, una sofferenza sottolineata dalla crudezza della traccia sulla matrice come “Nel vento”, una puntasecca del 2014, dove le orbite vuote e il ghigno della bocca sottolineano un tragico urlo di dolore interiore. E’ questa un’incisione di impatto visivo molto forte come del resto “Oltre la pelle”, acquaforte e puntasecca

 del 2010, caratterizzata da veloci linee che solcano il volto come graffi per poi ricomporsi attorno agli occhi. Insomma mi pare di scorgere un rivisitato espressionismo che caratterizza questa nuova fase di Olivia, non già sognante ma risvegliata da un incubo, una osservazione tragica del presente, cronaca giornaliera di una umanità sofferente alla quale spesso siamo spettatori inermi, in Olivia non è così, le sue incisioni sono una denuncia di tutto questo, risvegliano, ed è sempre opportuno, i tormenti di una civiltà sopita rammentandoci che tutti ne siamo coinvolti. Lo rammenta anche l’incisione “A Picasso”, ectoplasma uscente dal buio,    gli occhi ci guardano con una  espressione che il pittore spagnolo non ha mai avuto, sono sempre vividi ma pieni di rammarico come se nessuno ricordasse Guernica.

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